Lorenzo Cameli
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Curriculum Vitae - CV
Titolo tesi - L'imparzialità del giudice penale insidiata dal “processo mediatico”: uno studio sui possibili rimedi
Abstract - In uno scenario sociale, in Italia come altrove nel mondo, fortemente condizionato dal potenziamento e dalla moltiplicazione di modelli di comunicazione di massa sempre più pervasivi, la rappresentazione mediatica dei processi penali è via via assurta a fenomeno collettivo in crescita esponenziale, tra stampa, radio, talk-show televisivi e ormai, nell’era della disintermediazione, lo spazio smisurato dei social media e della rete Internet. Non di rado essa degrada oltre i limiti fisiologici del diritto all’informazione inscritto nell’art. 21 Cost., spezzando il filo che lo collega al controllo critico e democratico dell’amministrazione della giustizia (art. 101, co. 1, Cost). Tutto ciò, non è privo di concretezza.
La potenza di fuoco multimediale si presta tanto alla diffusione di elementi coperti dal divieto di pubblicazione ex art. 114 c.p.p., causando la distorsione delle regole dibattimentali, tra tutte e più in alto la verginità cognitiva (virgin mind) del giudice, quanto a manifestazioni più complesse e morbose, che alimentano una rappresentazione parallela e deformata della giustizia reale attraverso campagne mediatiche massive e colpevoliste, prive della mediazione tecnica delle categorie penalistiche ed estranee al rispetto dei canoni costituzionali implicati. Tale meta-narrazione, tipica dei “processi mediatici”, è capace di generare dei bias che contaminano l’aula giudiziaria e il libero convincimento
del giudicante, con ripercussioni che si sprigionano al vertice della scala valoriale del giudizio, contro la sua imparzialità (art. 111 Cost.), finendo così per svuotare i diritti fondamentali dell’imputato e le garanzie processuali, dal diritto di difesa (art. 24, co. 2, Cost.) alla presunzione di non colpevolezza (art. 27, co. 2, Cost.). L’imparzialità del giudice, infatti, si pone come principio informatore del sistema e, al
contempo, qualità connaturata (non innata) al giudicante.
In ambito sovranazionale, il patrimonio del case law di Strasburgo, nel bilanciamento tra fair trail (art. 6, par. 1, CEDU) e free press (art. 10, par. 2, CEDU), non di rado ha dato dimostrazione di collocare al centro degli interessi tutelati dalla Convezione il fair trial (tra tutte, Gran Chambre, Bédat c. Svizzera, 29 marzo 2016, §70). Ancora, a riprova del carattere stratificato dell’informazione colpevolista, ora avvalendosi dell’angolatura del diritto europeo, la Direttiva 2016/343/UE (recepita dal dlgs. 188/2021), allo scopo dichiarato di rafforzare la presunzione d’innocenza (art. 47 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) e il diritto ad un processo equo (art. 48 Carta), ha richiesto agli Stati membri di adottare misure necessarie a garantire che le autorità pubbliche coinvolte nel procedimento penale non presentassero, nelle informazioni fornite ai mass media (e nelle decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza), la persona come colpevole fino all’accertamento legale della sua responsabilità. In più, se ci si sposta al di fuori dei confini nazionali, il complesso tema dei rapporti tra giustizia penale e informazione giudiziaria non perde di importanza. Nelle realtà continentali sono andate cristallizzandosi formule come Öffentliche Vorverurteilungen, nell’esperienza tedesca, o juicios paralelos, in quella spagnola, equivalenti al nostro “processo mediatico”; ancora, in Francia si è affermata l’espressione cirque médiatico-judiciaire.
A fronte dell’urgenza di garantire i pilastri del processo dalle derive dannose dell’informazione giudiziaria, il progetto di ricerca si propone di individuare e ripensare i profili rimediali connessi alla problematica interessata. Centro privilegiato di attenzione sarà l’istituto giuridico della rimessione del processo (art. 45 c.p.p.), ultimo presidio processuale sulla frontiera dell’imparzialità e del giusto processo, idoneo, tramite traslatio iudicii, a bonificare il giudizio da invasioni mediatiche patologiche e locali rispetto al foro di celebrazione. Un meccanismo, di fatto, sterilizzato negli ultimi trent’anni per via giurisprudenziale da un granitico filone della Corte di cassazione (risalente agli anni Novanta e
avallato dalle Sezioni Unite nell’ord. n. 13687/2003), forte di posizioni, in estrema sintesi, ora radicate nell’eccezionale carattere derogatorio della rimessione rispetto al principio di naturalità del giudice (art. 25 co. 1 Cost.), ora aprioristicamente negazioniste dell’influsso mediatico nel processo.
Ogni prospettiva riformistica intesa a rivitalizzare l’istituto deve essere verificata da un penetrante controllo di proporzionalità nel delicato bilanciamento tra diritto al giudice naturale e diritto alla serenità e all’imparzialità del giudizio, nell’orizzonte di una riscrittura normativa costituzionalmente ortodossa e operativamente utile allo scopo di garanzia a cui è preordinata. La chiarezza e la verificabilità dei presupposti giustificativi della norma ipotizzata, dunque dei rispettivi ragionamenti probatori, dovranno essere validamente sostenute da un’indagine della fenomenologia dei media in ambito giudiziario e da un esame critico-comparativo con la struttura dei migliori meccanismi approntati dagli ordinamenti continentali contro la medesima patologia.