Carlotta Rambaldi

Carlotta Rambaldi
40° ciclo - Tutor

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Curriculum Vitae - CV

Titolo tesi - Tutela del lavoro e crisi di impresa. Profili giuslavoristici del nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (d.lgs 12 gennaio 2019, n. 14)

Abstract - Ai sensi dell’art. 2 d.lgs 14/2019, è da intendersi la crisi nell’impresa come uno stato debitorio caratterizzato dall’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici verso le obbligazioni assunte. Una condizione di detrimento aziendale che comporta la progressiva perdita della
capacità di realizzare valore.
Ebbene la crisi porta con sé una precarietà che è duplice: da una parte, quella dell’impresa, e dall’altra quella del lavoro, innestata nella prima come sua componente. Il mondo del lavoro e quello dell’impresa si presentano dunque come strettamente interconnessi, in una relazione di diretta influenza tra la redditività dell’impresa e la domanda di lavoro. E’ ovvio che la perdita di potere produttivo della prima si rifletta, anche e soprattutto, sull’andamento della seconda. Con riferimento in particolare alle condizioni di crisi e di insolvenza, il diritto concorsuale entra in contatto con il diritto del lavoro nella misura in cui le procedure fallimentari hanno effetti sul rapporto di lavoro e sulle connesse esigenze di protezione dell’occupazione e del salario.
Eppure, nonostante l’innegabile concatenazione tra i due campi giuridici, gli operatori delle materie hanno sempre denunciato l’inettitudine al dialogo dell’apparato regolatorio che presiede al governo della crisi di impresa. In parole più semplici viene contestato al legislatore il fatto di aver predisposto una normativa che, pur essendo rimarchevolmente variegata ed eterogenea, difetta di una disciplina unitaria e sistematica degli assetti lavoristici in iure cuncursuali. Ne è derivato un quadro regolatorio formato da istituti spesso confliggenti e in ogni caso di difficile coordinamento.
Responsabile di tali carenze era un sistema, quello fallimentare, impregnato su finalità di soddisfacimento creditorio nonché di sanzionamento e “cancellazione” del fallito dalla realtà economica. La precedente Legge Fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n.267) era dunque costruita su ragioni, quasi assolute, di protezione del ceto creditorio, che avevano però condotto alla soverchiante subordinazione delle posizioni di parte lavorale.
Il nostro legislatore interno rimarrà per anni completamente incurante di fronte alla problematica. Al contrario una innovativa sensibilità va progressivamente ad affermarsi nel contesto euro-unionale. La legislazione comunitaria ha rappresentato l’input fondamentale per la riforma delle procedure fallimentari nonché un valido canale di disciplina di alcuni aspetti del rapporto di lavoro nella crisi di impresa. In questo senso cenni vanno in particolare: alla Direttiva 80/987/CEE, che per prima si è preoccupata di mettere insieme l’insolvenza dell’imprenditore con le pretese dei propri dipendenti; alla Direttiva 2001/23/CE, sul mantenimento dei diritti dei lavoratori nella circolazione dell’impresa; alla Direttiva
2008/94/CE, per la protezione dell’occupazione e del reddito dei lavoratori nel caso di insolvenza; al Regolamento (UE) 2015/848, che fornisce la disciplina generale delle procedure di gestione della crisi e dell’insolvenza; e alla Direttiva 2019/1023/UE, sulla ristrutturazione e sull’insolvenza (a fondamento di tale ultima, si ricordino le indicazioni contenute nella raccomandazione della Commissione 2014/135/UE).
La necessità di adeguare la normativa interna al modello europeo, condurrà nel nostro ordinamento ad una serie di interventi riformatori sfocianti nell’adozione del d.lgs 12 gennaio 2019, n.14, cd. Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza. In apparente rottura con la
tradizione precedente, il Ccii si propone come strumento di armonizzazione delle procedure di gestione della crisi e dell’insolvenza con le forme di tutela dell’occupazione e del reddito.
Il presente intervento vuole essere un contributo allo studio e alla lettura giuslavoristica del nuovo Codice, precipuamente nell’ottica di verificare se effettivamente esso sia suscettibile di apportare miglioramenti alla sovra descritta problematica o se si tratti piuttosto di un
intervento di mera facciata che sul finale abbia lasciato i lavoratori in una condizione sostanzialmente identica.