Valentina Cuneo
Dottorato di Ricerca in Tutor Prof. Daniele Negri Titolo tesi
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Curriculum Vitae | CV |
Abstract |
Nel quadro del cammino verso il rafforzamento dei diritti di imputati ed indagati nell’ambito del procedimento penale, definitivamente intrapreso dall’Unione europea a partire dall’adozione della Risoluzione del Consiglio del 30 novembre 2009, si colloca la direttiva 2013/48/UE, relativa al «diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e di esecuzione del mandato di arresto europeo, al diritto d’informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari». Considerata l’indubbia rilevanza dei diritti che la direttiva si ripropone di tutelare, nonché i disomogenei livelli di protezione garantiti, in relazione agli stessi, dagli Stati membri, il menzionato atto europeo ricopre certamente un’importanza fondamentale in vista dell’obiettivo di una più ampia ed uniforme tutela dei diritti procedurali di indagati ed imputati. Nonostante si possa affermare, senza timore d’esser smentiti, che l’ordinamento italiano, sul piano formale, assicuri una soglia di garanzia particolarmente elevata al diritto di avvalersi di un difensore nell’ambito del procedimento penale, occorre precisare come una ricerca giuridica, che non intenda peccare di semplicismo, non possa arrestarsi a considerare solamente i profili astratti di tutela di un diritto fondamentale quale il diritto di difesa. Alla luce di tale considerazione si coglie appieno la rilevanza e la stessa intenzione del progetto di ricerca che ci si ripropone di sviluppare nel corso del triennio dottorale. Quel che, nello specifico, si mira analizzare ed approfondire è l’effettività della protezione del diritto considerato dalla direttiva 2013/48/UE nell’ambito del sistema processuale italiano, al fine di giungere ad effettuare una consapevole valutazione critica circa eventuali situazioni in cui alla formale enunciazione della posizione giuridica soggettiva corrispondano profili di “svuotamento” della stessa nel momento in cui si passa dalle disposizioni alla loro concreta applicazione. In tale ottica, l’aspetto che è parso da subito di maggior interesse, anche in considerazione della particolare delicatezza che lo stesso presenta, è quello della presa di contatto con il difensore da garantirsi al soggetto coinvolto nel procedimento penale, che si veda privato della propria libertà personale. A tal proposito si rilevano disposizioni codicistiche particolarmente garantiste (artt. 103, comma 5 e 104 c.p.p.), alle quali corrispondono però pratiche applicative, giustificate da discutibili letture giurisprudenziali, tali da ridimensionare significativamente, in senso restrittivo, i contenuti dei diritti formalmente enunciati in tutta la loro pienezza. Premesso che, a fronte dell’obbligo di interpretazione conforme gravante sugli organi nazionali, dovrebbero cessare, in virtù delle disposizioni della direttiva sul diritto al difensore, le interpretazioni giurisprudenziali in cui la declinazione pratica del diritto finisce per minimizzarne la portata effettiva, si auspica che il legislatore italiano, nel conformare il diritto interno alla direttiva, non si limiti ad una mera trasposizione formale, ma assuma un atteggiamento realmente fattivo. Tale atteggiamento, che consentirebbe di sfruttare appieno le potenzialità che l’intervento europeo nell’ambito dei diritti procedurali di indagati ed imputati offre, eliminando quelle distorsioni che il diritto al difensore subisce a livello operativo e concreto, si ritiene possa esser in un certo senso stimolato da studi teorici che consentano di evidenziare eventuali lacune nella tutela del diritto stesso.
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